“Lo Stato è impotente. Nelle condizioni attuali, come s’è visto giovedì a Genova, non è in grado di tutelare le vite dei cittadini. E la Protezione civile è senza mezzi, è come se mi avessero mandato sul fronte con una scatola di aspirine per una guerra non voluta da me”, sono le dichiarazioni del Capo della Protezione Civile Gabrielli dopo la spaventosa alluvione.
Che lo Stato italiano non stia vivendo un periodo sereno se ne sono accorte persino le pietre, ma quando il più alto funzionario di un’importante istituzione statale nata proprio con lo specifico scopo di gestire questo tipo di eventi e riportare laddove si sono persi spirito ed organizzazione, nonché mezzi e uomini, rilascia una dichiarazione simile, carica di sconforto e avvilimento, allora davvero chi è stato colpito dalla sciagura non può far altro che sentirsi solo e senza speranza.
Così c’è chi trova conforto nella rabbia ed in coloro che la fomentano con dichiarazioni irrazionali, se non addirittura folli, tali per cui riescono probabilmente a lenire per un attimo lo sconforto ed aiutare momentaneamente a sentirsi meno soli, ma di contro hanno l’unico effetto di distrarre, confondere e ritardare le azioni di chi deve intervenire; persino chi quelle dichiarazioni le ha fatte e chi ora ci vede del buono tra qualche giorno, a mente fredda, le troverà scriteriate a tal punto da rasentare il ridicolo e tutti insieme proveranno forse un po’ di vergogna per loro stessi.
Per fortuna però nella sciagura, tra le polemiche e le accuse reciproche, c’è chi reagisce in modo assai diverso: cerca un messaggio di speranza, un motivo, un episodio che alimenti il senso di comunità smarrito nel fango e che permetta di intravedere l’alba dentro l’imbrunire.
Ciononostante è difficile non pensare che la tragedia poteva essere evitata o perlomeno limitata; le accuse cadono sulla burocrazia lenta, lavori bloccati da infiniti contenziosi, appalti, ditte, fondi…
E senz’altro tutte queste accuse trovano un fondo di verità, a dirla tutta un abisso, ma dove lo stato è venuto meno, dove esso è mancato dov’era il cittadino? perché allora il disoccupato, il cassintegrato, lo studente, il lavoratore, il politico e tutti gli altri non hanno sentito il bisogno di agire, di sopperire alle mancanze dello Stato?
Insomma se tutta la gente che oggi per fortuna si è risvegliata dal suo torpore
lo avesse fatto prima della catastrofe, se avesse sentito prima il dovere di scendere in strada, se avesse liberato il greto del fiume da sterpaglie e ostruzioni (vedi foto)
anticipando il fango in città, probabilmente ora non staremmo parlando di tragedia.
Non si vogliono con ciò alleviare le colpe di cui le istituzioni dovranno rispondere, ma è corretto da cittadino chiedersi se si sia fatto tutto il possibile, se davvero si hanno meno colpe delle istituzioni. In fondo è facile scagliarsi contro lo Stato, è facile accusarlo di tutto. Ma lo stato, è bene ricordarlo, siamo anche noi.
È per questo che quest’evento tragico in cui ha trovato posto un bell’esempio di virtù può indurci a riflettere sul nostro ruolo nella società e magari immaginare un Paese in cui si porti insieme il fardello dei doveri, con il sollievo dei diritti, in cui il “reddito di cittadinanza” o il sussidio di disoccupazione si accompagnino con la pulizia di parchi, aiuole, scuole, strade, fiumi…
Vorremmo che chi sta dando aiuto a Genova non tornasse alla vita di tutti i giorni come se nulla fosse quando l’emergenza sarà finita. Può nascere qualcosa da quest’episodio, ci sono milioni di disoccupati o cassa integrati con una gran voglia di lavorare e non vedono l’ora di fare qualcosa di utile per la propria comunità. Lo sfogo di Gabrielli sulla carenza di mezzi e uomini è un paradosso che va sanato. Soddisfiamo le esigenze di entrambi con un “lavoro di cittadinanza” che possa risollevare le condizioni del Paese.
condivido.<br />reddito di cittadinanza per queste persone. il denaro lo prendiamo dallo stipendio e dai vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali.