I nuovi conquistadores “ci stanno prendendo i gioielli di famiglia” è questo lo slogan della politica quando un investitore estero si avvicina a qualche azienda italiana. La frase presuppone che questi gioielli non li paghino o, quantomeno, l’innocente e malcapitato imprenditore italiano si lasci irretire dal famelico speculatore estero. Nel 2011, per arginare il fenomeno, l’allora ministro Giulio Tremonti prevede che Cassa Depositi e Prestiti possa assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese (e che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività). Nonostante il colossale impegno, con un capitale sociale pari complessivamente a circa 4,4 miliardi di euro, che il ministro Tremonti ha messo a tutela delle imprese italiane continuano le sirene di sventura dei politici nostrani: “Qual è la premura che abbiamo di fronte a questa moneta? Se lei va vedere chi ci sta prendendo i gioielli di famiglia o sta favorendo la delocalizzazione di molte aziende italiane sono tutti Paesi che stampano propria moneta Giappone Turchia, Polonia. Il Giappone ha comprato l’Andaldo breda e l’ansaldo sts, Questi paesi hanno una propria moneta e un’economia florida”.
Fondo Strategico Italiano 2014
Il fondo strategico italiano è il cane da guardia voluto da Tremonti. Analizzando il perimetro di riferimento (aziende d’interesse strategico) del Fondo Strategico Italiano su scala europea, si osserva come le operazioni realizzate nel 2014 siano state pari a 204 con un controvalore di 188 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 124 miliardi di dollari per l’anno 2013, attestandosi pur sempre a valori inferiori ai picchi registrati negli anni 2006 e 2007 (quasi 300 miliardi di dollari in ciascun anno). Gli investimenti effettuati nel 2014 hanno riguardato prevalentemente i settori telecomunicazioni (24%), tempo libero (18%), industriale (14%) e immobiliare (13%) e, con riguardo alla suddivisione geografica, perfezionate in maggior misura in Regno Unito (33%) e Francia (27%). Le operazioni realizzate in Italia risultano pari solo al 2% del totale complessivo, includendo le 3 operazioni Fsi, in netta flessione rispetto al 5% rilevato nel 2013:
Tali volumi limitati per l’Italia non sono coerenti con le metriche economiche del Paese che, in quanto secondo sistema manifatturiero europeo, offre, in contrasto, solide aziende operanti in nicchie di eccellenza, nonché un’alta percentuale di aziende familiari. La scarsa appetibilità delle nostre aziende potrebbe essere un segnale d’allarme che dovrebbe innescare un dibattito serio sul nostro sistema industriale, invece delle solite battute catastrofiche per una razzia che esiste solo nella propaganda elettorale.
Luigi.Ciotta@ItaliaSalva.it
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