Sulle pagine del nostro blog non ci siamo mai occupati di immigrazione. Abbiamo preferito lasciare ad altri dibattere di un argomento scottante che si presta alle manipolazioni e ai populismi. Tuttavia in quel di ferragosto abbiamo deciso di pubblicare un post sull’argomento. L’occasione ci viene offerta da alcune esternazioni di Donald Trump, e da alcune dati ripresi da blog americani e da noi interpretate. Nella corsa alle primarie repubblicane, il miliardario Donald Trump, indossando i panni del Salvini americano, è entrato a gamba tesa sul tema dell’immigrazione. “Se ne devono andare!” è il grido di Donald Trump intervistato dalla NBC. Gli immigrati messicani sono accusati di essere degli stupratori e degli spacciatori. La lotta all’immigrazione clandestina si compierebbe innanzitutto, secondo il miliardario candidato, attraverso la costruzione di un muro lungo la frontiera meridionale degli Stati Uniti. L’idea di Trump è diametralmente opposta a quella di Obama, il quale sta promuovendo degli atti per impedire la deportazione di immigrati bambini, offrendo protezione anche alle famiglie. La polarizzazione dello scontro, e la conquista di una posizione netta e forte, senza precedenti nel dibattito politico americano, sta fornendo grande popolarità a Trump.
Quello che però Trump non coglie è l’impatto dell’immigrazione sull’economia americana. Dallo scoppio della crisi del 2008 si è avuto un fenomeno molto particolare che prende insieme il mondo dell’immigrazione e del lavoro. Sono stati aggiunti al mercato del lavoro 2,3 milioni di lavoratori nati all’estero a fronte di 730 mila lavoratori nati negli Stati Uniti. Sembra che la ripresa abbia favorito 3 a 1 i lavoratori nati fuori dai confini americani. Gli economisti, anche insigni premi nobel, non riescono a spiegarsi il perché il tasso di disoccupazione americano attualmente al di sotto del 6% non si traduca in aumento dei salari e quindi in inflazione. Come sappiamo l’inflazione è uno degli obiettivi della FED (così come della BCE). Proprio per riportarla vicino al 2%, la FED ha innescato una politica espansiva di quantitative easing, di tassi quasi nulli, ma l’obiettivo, a distanza di 8 anni, sembra non raggiunto. Ebbene, le considerazioni sopra fatte circa il mercato del lavoro ci spingono a dire che l’inflazione e la crescita dei salari è tenuta bassa dall’entrata sul mercato di un bacino di lavoratori con poca o nessuna specializzazione, che occupano posizioni poco appetibili e a bassa salario. La politica di Trump risolverebbe o aggraverebbe i problemi degli Stati Uniti? A voi la parola, cari Salviniani e non!
domenico.totaro@italiasalva.it
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