La disuguaglianza, in Italia, perde la sua funzione di promozione dell’efficienza collettiva di un sistema economico. In particolare perché diventa difficile passare da una classe ad un’altra. La tragedia è quando ad essere dalla parte svantaggiata ci sono quelli che studiano o lavorano di più, o potrebbero lavorare di più, perché in questa maniera si riduce l’incentivo a farlo; quando i poveri, seppur bravi, non riescono neppure a presentarsi al blocco di partenza della prossima gara e lasciano i vincitori di quelle precedenti da soli, riducendo la competizione; quando a rimanere senza lavoro sono i giovani perché così si distrugge il capitale umano dal quale dipende, letteralmente, il futuro di un Paese. Ciò che conta è, dunque, la mobilità sociale più dell’ampiezza del divario.
All’immobilismo sociale ci si arriva attraverso due strade opposte ma convergenti: non premiando lo studio e il merito, aver studiato di più determina un premio sempre meno significativo (sia in termini di maggior reddito che di minore probabilità di rimanere senza lavoro) e ciò, alla fine, finisce con lo scoraggiare lo studio e abbassare la quota di ricchezza nazionale che, complessivamente, vi dedichiamo; l’eccesso di burocrazia e la protezione dell’esistente hanno, di fatto, abolito la gara che il capitalismo propone per allocare le proprie risorse nel modo più produttivo, al punto che neppure studiare conta più per scalfire certe gerarchie. Il risultato è un’intera generazione inattività, senza lavoro e senza studio, o frustrata per una posizione aziendale che non li valorizza, sotto il giogo di una classe dirigente presuntuosa ed arrogante: uno spreco di talento e di speranza che sconteremo per anni.
Nessuno ritiene che ci sia una bacchetta magica in grado di rimuovere l’immobilismo, ma bisognerebbe iniziare a camminare in questa direzione. Purtroppo ci si muove in direzione diametralmente opposta. I governi, dopo aver auspicato per decenni una maggiore tassazione sul patrimonio alleggerendo il reddito, ritornano a premiare la casa (vedi il provvedimento sull’imu) e punire il reddito. Un fisco cosi concepito appiattisce le già misere differenze di reddito tra bravi e meno bravi, e promuove le rendite di posizione accumulate da chissà chi e chissà come… Un sistema meritocratico, per nascere ed entrare nella quotidianità delle persone, è una rivoluzione epocale, ma l’unico in grado di liberare l’Italia dalle secche dell’oblio. Ognuno deve fare la sua parte, e il Governo tracciare la rotta.
“Un uomo scala l’Everest per sé stesso, forse, ma arrivato in cima pianta la bandiera del suo paese»
Luigi.ciotta@ItaliaSalva.it
E’ un bellissimo articolo, semplice chiaro e convincente. Grazie.